Il cibo nei dipinti di Brera
Avete notato che il cibo è spesso rappresentato nell’arte? Pittori e scultori nei secoli si sono prodigati a raffigurarlo, nei dipinti e nelle sculture, come natura morta oppure come simbolo, decorazione, elemento di esercitazione.
Una visita alla Pinacoteca di Brera a Milano può dare modo di scoprire parecchi esempi di Maestri che nei quadri e negli affreschi hanno spesso trattato questo soggetto. La condivisione del cibo, il sedersi alla stessa tavola, è un atto sociale in tutte le culture: nel corso dei secoli è stato soggetto di convivialità, amicizia, ospitalità.
Nelle scene della Bibbia, come la Pasqua ebraica, e dei Vangeli, dalle Nozze di Cana alla Cena in Emmaus in cui i protagonisti siedono a tavola tutti insieme, banchetti, cene o qualsiasi tipologia di consumo del cibo sono tra le rappresentazioni più ricorrenti. Ogni epoca e ogni territorio vuole rappresentare le cene sacre in un modo vicino alla propria quotidianità: da Leonardo nel Cenacolo a Caravaggio nelle sue opere…
Le uniche cene “fedeli”, nelle quali sembra di essere presso gli antichi romani, contemporanei di Cristo, sono quelle dei mosaici paleocristiani di Ravenna, dove gli apostoli sono verosimilmente sdraiati sul triclinio mentre mangiano, com’era in uso ai tempi.
Ma torniamo al cibo come simbolo nell’arte.
Nelle pale di altare e in quelle di carattere devozionale, comincia ad apparire sempre più spesso il frutto con carattere simbolico: mela, pera, pesca e ciliegia possono essere ricondotti al tema della fertilità.
L’uovo ha a che fare con l’origine della vita e con un potere generativo veramente forte, quindi è vita per eccellenza: ab ovo usque ad mala, dall’uovo fino alle mele (il pasto iniziava con l’uovo), dall’inizio alla fine.
La Pala Montefeltro (1472), commissionata da Federico da Montefeltro a Piero della Francesca, doveva celebrare la nascita dell’erede Guidobaldo e il dolore per la quasi contemporanea dipartita della moglie Battista Sforza. Il tema della vita qui si somma a quello della morte, rappresentata nel Bambino che dorme. La parte superiore della pala, con la conchiglia della nascita di Venere e l’uovo di struzzo generativo che pende, con il suo ovale perfetto, sopra l’ovale del volto della Madonna, ci indica l’elemento primigenio della vita.
Carlo Crivelli, artista veneto che ha lavorato nelle Marche, nella sua Madonna della Candeletta (1490) dipinge invece grandi quantità di frutta. La ciliegia, dal colore rosso, è prefigurazione della Passione, accompagnata anche dal volto triste del Bambino e della Madonna. La pesca ha come simbologia aggiunta la Trinità: frutto, nocciolo, seme.
A volte le sacre cene sono usate come pretesti per esaltare la ricchezza dei committenti delle opere, come il caso della Cena in casa di Simone di Paolo Veronese (1570), che prende a spunto i pasti del Vangelo per rappresentare banchetti nobili del Rinascimento. È la celebrazione del benessere della società veneziana: l’atmosfera ricorda un sontuoso banchetto della Serenissima, fedelmente rappresentato nella ricchezza dei costumi degli invitati, delle stoviglie e delle pietanze. I piatti sono ovunque, ma contengono cose piccole, ancora nessun alimento emerge come protagonista.
Nel 1555 Giovanni Battista Moroni, pittore di origine bergamasca ma di cultura veneta, nella sua Madonna col bambino, San Francesco, Santa Caterina di Alessandria e un donatore dipinge in mano al Bambino una pera. La pera è un simbolo antichissimo associato a Iside, a Era, ad Afrodite e poi alla Madonna. La sua forma richiama le curve femminili, la maternità e la fertilità. In particolare la pera è associata con l’offerta di sé. Ma tutti i frutti che contengono tanti semi – la zucca, la melagrana, l’uva – hanno a che fare con l’idea della fertilità, infatti, tanti semi possono ottenere tante piante.
La melagrana è anche un frutto infernale: lo scoprì Proserpina, che mangiò sei chicchi della melagrana con Plutone, il dio degli Inferi, e per la legge divina, chi mangiava anche un solo boccone mentre si trovava nel regno dei morti, non avrebbe più potuto ritornare sulla terra. Non solo: i chicchi della melagrana lasciano un succo rosso indelebile, e per questo motivo il frutto è stato associato alla Passione di Cristo.
La vite con l’uva appare nel dipinto di Bernardino Luini che rappresenta L’ebbrezza di Noè (1520-25), prima grande sbronza della Bibbia. La visione del vino è sempre stata ambivalente: da una parte è simbolo di benessere e di piacere, ma dall’altra è anche rivelatore (in vino veritas), in quanto il vino dona libertà e disinibizione. Per gli antichi greci, per esempio, ubriacarsi era maleducazione e inciviltà.
Nel Cinquecento i pittori lavorarono molto sul tema del banchetto e, verso il finire del secolo, rinasce la rappresentazione di frutti e fiori come singolo elemento.
Nel 1570 con Vincenzo Campi il cibo diventa sempre più protagonista. La fruttivendola, che può essere considerato un predecessore del genere artistico della natura morta, mostra ortaggi e uva in primo piano. Sul suo ordinato banco appaiono il fico da un lato, legato al peccato originale e alla fertilità, la zucca, simbolo della Chiesa che raccoglie all’interno i suoi fedeli e di fertilità, i piselli, emblema di povertà come l’insalata. Il carciofo, di origine araba, aveva un che di meraviglioso, una forma strana per l’epoca, sembrava una pigna con scorza dura e legnosa.
Caravaggio nella Cena in Emmaus (1606) conservata in Brera (l’altra sua Cena in Emmaus è a Londra), sceglie di far convergere l’attenzione su qualcosa di diverso rispetto al cibo e per dargli meno enfasi rappresenta pane ed erba, che simboleggiano l’estrema povertà.
Nell’Ultima Cena di Daniele Crespi (1624-25) sulla tavola ci sono pesci, carne, pane, erbe amare. La scatola del sale è al centro e ci ricorda la frase “Voi siete il sale della terra” che Cristo dice ai suoi discepoli. Il pane divino che arriva dall’alto (il riferimento si legge nel cartiglio) ci rammenta la manna biblica discesa dal cielo, che aveva l’aspetto della farina con il gusto del miele: quando il Padre prefigura la Terra Promessa, la descrive come luogo dove scorrono abbondantemente il latte e il miele. La manna con l’acqua consente al popolo ebraico di sopravvivere durante il passaggio nel deserto, ed è una prefigurazione del dono eucaristico.
Anche il gambero nostrano diventa simbolo: da grigio, quando va sul fuoco si colora di rosso, e quindi diventa la prefigurazione delle sofferenze di Cristo, nel Quadro con gamberi di Giacomo Ceruti (1730 circa).
Il Pergolato di Silvestro Lega (1868) racconta, infine, una scena di vita quotidiana, dove un determinato tipo di cibo diventa un elemento di appartenenza a una specifica classe sociale: una donna sta portando una caffettiera su un vassoio e si vedono alcune tazzine sulla panchina. Bere il caffè, era un privilegio all’epoca dei ricchi, perché l’alimento era molto costoso a causa delle tasse.
Naturalmente, anche l’arte delle avanguardie, come il cubismo e il futurismo, si è interessata al cibo. Fa parte della Collezione Jesi, la Natura morta con cocomero e liquore di Ardengo Soffici (1914), dove è presente un’anguria come oggetto della vita quotidiana, che è un pretesto per lavorare su forme e colori. L’attenzione per il cibo entra, infatti, nell’arte moderna senza una particolare simbologia.
E qui ci fermiamo, per ora: certamente il vasto argomento del cibo nell’arte è da esplorare presso molti musei e collezioni!
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